Un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 4 ottobre 2004
L'autunno è agli sgoccioli ma sui
banchi delle pescherie, specie quelle dei mercati popolari, fa ancora
bella mostra un pesce “nostrano” che non tutti sanno apprezzare.
Eppure il capone (in italiano “lampuga” mentre il capone
corrisponde alla nostra “fagiana”) se saputo cucinare è un
ottimo secondo, considerato che lo trovate sempre appena pescato ed a
prezzi da saldi. Verificarne la freschezza, tra l'altro, è
facilissimo. A parte i soliti “segni” (occhio vitreo e convesso,
branchie molto scure e che non emanano cattivo odore se aperte), il
capone fresco ha il dorso grigio-azzurro e il ventre con riflessi
giallo-oro. Più sono brillanti i riflessi azzurri, più il pesce è
fresco. In questo periodo la taglia delle catture, che cominciano a
fine estate, è aumentata sensibilmente superando abbondantemente il
chilogrammo. I metodi di pesca sono la lenza da traina di superficie
o, più generalmente, il “cianciolo”: una rete da circuizione che
i pescatori calano in superficie spesso (soprattutto d'estate) nei
pressi dei “cannizzi”, grandi zattere di canne intrecciate
all'ombra delle quali si rifugiano i branchi di pesci.
Per gustarlo al meglio il capone va
pulito e tagliato a fette spesse circa due dita, la testa
longitudinalmente in due parti. Quando sono di taglia più piccola i
caponi (ma anche i pesci pilota, meglio conosciuti a Palermo come
'nfanfali, riconoscibili perché grigi a fasce verticali alternate
chiare e più scure) possono essere gustati anche passati nell'olio e
nella farina di grano duro e fritti. Oppure alla brace, conditi col
salmoriglio (olio d'oliva, sale, origano, poco pepe nero). Ottimi
anche sfilettati, passati nell'olio, poi nel pangrattato e fritti,
con la variante in agrodolce (dopo la frittura sfumare con una
salsina preparata facendo
sciogliere tre cucchiai di zucchero in mezzo bicchiere di aceto
bianco, proporzione variabile a seconda dei gusti, e
aggiungendo un po di menta). In questo periodo, invece, il modo
migliore di gustare il capone di grossa taglia è “apparecchiato”.
Un'antica ricetta palermitana che ne esalta il sapore evitando che
diventi troppo “stopposo”. Per preparare il “capone
apparecchiato” tagliatelo come spiegato precedentemente, passate i
singoli pezzi nella farina di grano duro, friggeteli in olio d'oliva,
salateli con discrezione e sgocciolateli. Sistemate il pesce fritto
su un piatto da portata dai bordi alti e preparate la “consa”:
fate appassire in olio d'oliva abbondante cipolla tagliata finemente,
aggiungete capperi sotto sale che avrete messo prima in acqua e
sgocciolato, olive nere e bianche, pomodoro fresco a pezzi (va bene
anche la polpa pronta) peperoncino (gradito anche un generoso pizzico
di origano). A questo punto fate cuocere a fuoco lento per circa
dieci minuti, aggiungete una salsa agrodolce all'aceto, fate
addensare ancora per qualche minuto e versate il condimento ancora
caldo sul pesce fritto. Lasciate riposare per almeno un'ora e servite
freddo o appena scaldato al forno. La ricetta ha una variante “in
bianco”, senza pomodoro e con pepe nero al posto del peperoncino.
Inoltre, al posto del capone potete provarla con altri pesci dalle
carni che possono risultare leggermente stoppose: tranci di alalunga
o di tonno (ma non è questo il periodo giusto) e perfino filetti di
baccalà interi o tagliati a grossi pezzi.
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