giovedì 10 novembre 2016

Pesce capone apparecchiato



Un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 4 ottobre 2004

L'autunno è agli sgoccioli ma sui banchi delle pescherie, specie quelle dei mercati popolari, fa ancora bella mostra un pesce “nostrano” che non tutti sanno apprezzare. Eppure il capone (in italiano “lampuga” mentre il capone corrisponde alla nostra “fagiana”) se saputo cucinare è un ottimo secondo, considerato che lo trovate sempre appena pescato ed a prezzi da saldi. Verificarne la freschezza, tra l'altro, è facilissimo. A parte i soliti “segni” (occhio vitreo e convesso, branchie molto scure e che non emanano cattivo odore se aperte), il capone fresco ha il dorso grigio-azzurro e il ventre con riflessi giallo-oro. Più sono brillanti i riflessi azzurri, più il pesce è fresco. In questo periodo la taglia delle catture, che cominciano a fine estate, è aumentata sensibilmente superando abbondantemente il chilogrammo. I metodi di pesca sono la lenza da traina di superficie o, più generalmente, il “cianciolo”: una rete da circuizione che i pescatori calano in superficie spesso (soprattutto d'estate) nei pressi dei “cannizzi”, grandi zattere di canne intrecciate all'ombra delle quali si rifugiano i branchi di pesci.
Per gustarlo al meglio il capone va pulito e tagliato a fette spesse circa due dita, la testa longitudinalmente in due parti. Quando sono di taglia più piccola i caponi (ma anche i pesci pilota, meglio conosciuti a Palermo come 'nfanfali, riconoscibili perché grigi a fasce verticali alternate chiare e più scure) possono essere gustati anche passati nell'olio e nella farina di grano duro e fritti. Oppure alla brace, conditi col salmoriglio (olio d'oliva, sale, origano, poco pepe nero). Ottimi anche sfilettati, passati nell'olio, poi nel pangrattato e fritti, con la variante in agrodolce (dopo la frittura sfumare con una salsina preparata facendo sciogliere tre cucchiai di zucchero in mezzo bicchiere di aceto bianco, proporzione variabile a seconda dei gusti, e aggiungendo un po di menta). In questo periodo, invece, il modo migliore di gustare il capone di grossa taglia è “apparecchiato”. Un'antica ricetta palermitana che ne esalta il sapore evitando che diventi troppo “stopposo”. Per preparare il “capone apparecchiato” tagliatelo come spiegato precedentemente, passate i singoli pezzi nella farina di grano duro, friggeteli in olio d'oliva, salateli con discrezione e sgocciolateli. Sistemate il pesce fritto su un piatto da portata dai bordi alti e preparate la “consa”: fate appassire in olio d'oliva abbondante cipolla tagliata finemente, aggiungete capperi sotto sale che avrete messo prima in acqua e sgocciolato, olive nere e bianche, pomodoro fresco a pezzi (va bene anche la polpa pronta) peperoncino (gradito anche un generoso pizzico di origano). A questo punto fate cuocere a fuoco lento per circa dieci minuti, aggiungete una salsa agrodolce all'aceto, fate addensare ancora per qualche minuto e versate il condimento ancora caldo sul pesce fritto. Lasciate riposare per almeno un'ora e servite freddo o appena scaldato al forno. La ricetta ha una variante “in bianco”, senza pomodoro e con pepe nero al posto del peperoncino. Inoltre, al posto del capone potete provarla con altri pesci dalle carni che possono risultare leggermente stoppose: tranci di alalunga o di tonno (ma non è questo il periodo giusto) e perfino filetti di baccalà interi o tagliati a grossi pezzi.  


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