mercoledì 30 novembre 2016

Macco di fave



Una ricetta contadina antica ma sempre attuale, semplice ma che ha bisogno di un ingrediente in più: la pazienza di una cottura lenta!

Ingredienti per 4 persone
500 grammi di fave secche  
Una cipolla piccola
Una carota
Un mazzetto di finocchietto selvatico
Olio di oliva extravergine
Uno spicchio di aglio
Sale e pepe nero


Procedimento
Sciacquare le fave secche e metterle a bagno per almeno 6 ore in acqua fredda. Tagliare a dadini la carota e affettare finemente la cipolla. Soffriggere le verdure e l’aglio nell'olio, togliere l’aglio e unire le fave secche e il finocchietto tritato. Rosolare il tutto per qualche minuto e coprire con acqua, aggiustando di sale. A questo punto, dovete solo coprire con un coperchio e fare cuocere a fuoco basso finché le fave non inizieranno a disfarsi. Mescolate spesso per evitare che le fave si attacchino sul fondo e aggiungete ogni tanto acqua tiepida per mantenere la zuppa abbastanza cremosa. L'unico problema di questa ricetta è il tempo di cottura: da 2 a 3 ore, comunque finché le fave saranno quasi del tutto sfatte. A fine cottura avete due possibilità: gustare la zuppa con crostini di pane di rimacina o allungare la crema con acqua tiepida (un paio di bicchieri), portare a ebollizione a fuoco basso, aggiungere 200 grammi di spaghetti spezzati e spegnere quando sono ben al dente. In entrambi i casi nei piatti aggiungete olio extravergine d'oliva e pepe nero macinato al momento. La stessa ricetta si può preparare usando i piselli secchi.

martedì 29 novembre 2016

Pasta coi broccoli arriminati



Una ricetta gustosissima con la variante in rosso (aggiungendo l'estratto di pomodoro sciolto in acqua)

Ingredienti per quattro persone

400 grammi di bucatini
1 broccolo di media grandezza
Una cipolla
50 grammi di uva passa 
50 grammi di pinoli
4 sarde salate
Olio extravergine d’olive
Sale e pepe
Una bustina di zafferano
100 grammi di pangrattato
Procedimento 
Fate ammorbidire in acqua tiepida l’uva passa. Lessate in acqua salata il broccolo e conservate l’acqua di cottura, i cui cuocerete i bucatini. Tagliate finemente le cipolle e soffriggetele a fuoco basso. Appena la cipolla sarà imbiondita aggiungete le sarde salate, schiacciandole con un cucchiaio di legno. Aggiungete l'uva passa e i pinoli e fate insaporire per qualche minuto. A questo punto unite il broccolo lessato e spolverizzatelo con pepe nero macinato fresco. Mescolate bene con un cucchiaio di legno, unite una bustina di zafferano sciolta con qualche cucchiaio di acqua di bollitura dei broccoli e portate a cottura per circa 5 minuti. A questo punto cuocete i bucatini nell’acqua del broccolo messa da parte. Scolateli, mescolateli con il condimento e servite. A piacere, spolverate con pangrattato tostato con un cucchiaio di olio d'oliva.

Pasta c'anciova



Una ricetta popolare classica e molto semplice, che si può realizzare tutto l'anno

Ingredienti per 4 persone
400 g di margherita o bucatino
Mezza cipolla
Uno spicchio d’aglio
8 acciughe salate
200 gr estratto di pomodoro
100 gr di pangrattato
50 gr di uva sultanina
50 gr di pinoli
Olio extra vergine d’oliva
Sale e pepe nero

Procedimento
Tritate finemente la cipolla e soffriggetela a fuoco basso nell’olio. Appena appassita unire l’aglio e i filetti d’acciuga che farete sciogliere. Aggiungete l’estratto di pomodoro sciolto in un bicchiere di acqua calda e mescolate. Unite l’uva passa precedentemente ammollata in acqua tiepida per almeno 10 minuti e i pinoli. Aggiustate di pepe e lasciate cuocere per circa un quarto d’ora, fino a quando la salsa sarà abbastanza densa.
Nel frattempo in una padella mettete un cucchiaio d'olio d'oliva e il pangrattato e mettetela sul fuoco a fiamma bassa mescolando con un cucchiaio di legno fino a quando non sarà dorata. Cuocete la pasta e scolatela al dente, rimettetela nella pentola con parte della salsa e mescolatela. Distribuitela nei piatti e finite di condirla prima con la salsa rimasta e poi con una generosa spolverata di pangrattato.

lunedì 28 novembre 2016

Involtini palermitani



Una ricetta classica della cucina palermitana che può essere personalizzata aggiungendo alla farcitura acciughe sciolte nell'olio caldo o togliendo uva passa e pinoli.


Ingredienti per 4 persone 
1 kg di fettine di manzo 
Due grosse cipolle 
Foglie di alloro 
Mezza cipolla grattugiata 
300 gr di pangrattato 
300 gr di caciocavallo semistagionato o pecorino grattugiato 
50 gr di uva passa piccola 
50 gr di pinoli 
Mezzo bicchiere d’olio extravergine d’oliva 
Sale e pepe nero 

Procedimento 
Fate appassire in una padella con poco olio la cipolla finemente tritata, aggiungete il pangrattato e fate dorare leggermente. A fuoco spento aggiungete il formaggio grattugiato, l’uva passa che prima avete ammollato nell'acqua tiepida, i pinoli e aggiustare di sale e pepe. Amalgamare il tutto con un filo d’olio. Preparare gli involtini spennellando le fettine di carne con l’olio e un pizzico di sale quindi adagiarvi un po’ di condimento e avvolgerli. Infilzare nello spiedino di bamboo una sfoglia di cipolla, una foglia di alloro e un involtino, poi continuare con cipolla, alloro e involtino. Comporre uno spiedino di quattro involtini e terminare con alloro e cipolla. Ungete d’olio gli spiedini e poi passateli nel pangrattato. Cuocere alla brace o al forno finché sono ben dorati.

sabato 26 novembre 2016

Patate al limone



Le ricette popolari con le patate sono infinite, ne ho raccolte alcune sbrigative ma gustose.

Ingredienti per 4 persone
4 patate
1 spicchio di aglio
Il succo di un limone
Pangrattato
Sale
Olio evo


Procedimento
Sbucciate le patate e tagliatele a cubetti. Mettete a bollire una pentola di acqua leggermente salata e, quando bollirà, fate sbollentare le patate per un paio di minuti. Scolatele e asciugatele bene. Fate 

scaldare 3 cucchiai di olio in una padella insieme all’aglio e quando saranno caldi aggiungete le patate, fatele rosolare da tutti i lati per 5 o 10 minuti, togliete l'aglio, versate il succo di limone e mescolate delicatamente, spolverate col pangrattato, salate, girate velocemente e saltate per qualche minuto finché il pangrattato non sarà dorato. Una ricetta tradizionale della provincia di Siracusa prevede lo stesso procedimento iniziale ma l'uso dell'aceto al posto del succo di limone, senza aglio e pangrattato, completando con una generosa spolverata di origano. Io invece sbollento le patate in acqua salata, le pelo, le taglio a tocchetti e le condisco con una salsa verde fatta con prezzemolo, poco aglio, olio d'oliva, aceto di vino bianco, acciuga e pepe nero macinato al momento, il tutto passato al mixer. Variante ancora più ricca di sapori, col finocchietto selvatico al posto del prezzemolo.



venerdì 25 novembre 2016

Pasta con le patate



La patata è uno degli ingredienti più poveri della cucina tradizionale e la pasta con le patate, con le sue infinite varianti, è un "piatto unico" gustoso e facile da realizzare.

Ingredienti per 4 persone
Rigatoni o penne rigate 400 gr
Patate a pasta gialla: 300 gr
1 cipolla
Olio d’oliva
Sale
Pepe nero
Prezzemolo
Una bustina di zafferano
Parmigiano grattugiato o pecorino

Procedimento

Pulite la cipolla e affettatela. Mettetela in una padella alta o in una casseruola con olio d'oliva, fatela appassire a fiamma bassa. Aggiungete le patate pelate e tagliate a tocchetti molto piccoli. Aggiustate di sale e pepe nero, fate cuocere col coperchio per almeno 15 minuti aggiungendo ogni tanto acqua bollente e schiacciate le patate con una forchetta in modo da ottenere una crema grossolana. Aggiungete la bustina di zafferano sciolta in poca acqua calda. Ora avete due possibilità. La prima, più complessa e “rischiosa” (si può attaccare e bruciare il condimento sul fondo della pentola) ma dal risultato decisamente più efficace: allungate con circa mezzo litro di acqua calda, aggiungete un pizzico di sale, riportate a ebollizione e buttateci la pasta corta (ditali rigati o simili) spegnendo 2-3 minuti prima della cottura, lasciate riposare col coperchio, quindi completate con prezzemolo tritato e formaggio grattugiato. La seconda: cucinate la pasta a parte e quando mancheranno 2 minuti alla fine della cottura scolatela e maneggiatela con le patate, prezzemolo tritato e formaggio grattugiato. E' importante che la crema resti abbastanza liquida altrimenti si corre io rischio di ottenere un piatto “colloso”.

lunedì 21 novembre 2016

Biancomangiare



Una ricetta antica che mi fa ricordare odori e sapori della mia infanzia, semplice da realizzare e personalizzabile. 

Ingredienti 
Un litro di latte 
200 grammi di zucchero semolato 
90 grammi di amido per dolci 
Cannella in polvere o vaniglia o scorza di limone grattugiata 
Granella di pistacchio o di mandorla 

Procedimento 
Mettere il latte in una ciotola (se volete un sapore più deciso usate il latte intero o, meglio ancora, quello fresco pastorizzato) e sciogliervi lo zucchero, quindi unire l’amido e mescolare bene con una frusta in modo che non si formino grumi. Completate aggiungendo la cannella o la vaniglia o la scorza di limone grattugiata. A questo punto mettere su fuoco dolce e mescolare continuamente con la stessa frusta o con un cucchiaio di legno finché il liquido comincia ad addensare. Togliere dal fuoco e mescolare per un paio di minuti. Versare il composto in uno stampo inumidito e mettere a raffreddare. Quando il biancomangiare sarà ben denso, sformare su un piatto da portata spolverandolo con altra cannella o granella di pistacchio o granella di mandorla.

sabato 19 novembre 2016

Palamita in salsa verde



Questa non è una ricetta tradizionale ma stamattina al mercato ho trovato palamite freschissime che mi hanno ispirato. 

Ingredienti per 4 persone 
1 palamita da 1 kg 
½ kg di pomodorino 
Una cipolla media 
Un mazzetto di prezzemolo 
50 gr di capperi 
Olio evo 
Vino bianco 
Farina 
Sale e pepe nero 

Procedimento 
Pulire il pesce,tagliarlo a tranci, metterlo in abbondante acqua per circa un'ora per fargli perdere il sangue. Scolare bene i tranci e passarli dalla farina di rimacinato. A parte passate al mixer cipolla, prezzemolo, capperi dissalati, olio ottenendo una crema abbastanza densa. Impostate i tranci infarinati in una teglia unta d'olio, aggiustate di sale e pepe nero, poi versateci sopra la crema fino a coprirli e spruzzate col vino bianco. Nella stessa teglia potete aggiungere patate tagliate a fette con sale, pepe, olio e qualche cucchiaio della stessa crema che avete utilizzato per il pesce. Su tutto mettete i pomodorini tagliati e, se volete, qualche oliva. Infornare per almeno 20 minuti a 180° in forno già caldo.

giovedì 17 novembre 2016

Frittata di cavuliceddi


Una ricetta gustosa e nutriente, ma anche economica, per cucinare i cavuliceddi (Brassica fruticulosa), in altre zone della Sicilia detti amareddi, caluzzi, qualuzzi o qualeddi, che possono essere sostituiti da altre verdure selvatiche.

Ingredienti per 4 persone
1 mazzo di cavuliceddi
100 gr pecorino grattugiato.
6 uova
olio
sale


Procedimento

Pulite bene e lessate in acqua salata la verdura tagliata grossolanamente, poi fatela scolare. In alternativa (è la mia ricetta) fatela cuocere a fuoco lento in padella con uno spicchio d'aglio intero e olio d'oliva, coprendo con un coperchio. In entrambi i casi fate sgocciolare. A parte sbattete le uova, aggiungete il pecorino grattugiato, sale, poco pepe e la verdura previamente, quindi amalgamate bene. In una padella antiaderente fate scaldare l’olio e versate l’impasto cercando di livellare la superficie. Coprite e fate rapprendere la frittata a fiamma moderata e ben distribuita. Appena la superficie si sarà rappresa capovolgete la frittata servendovi di un piatto o di un coperchio piano che poggi all’interno della padella. Rimettere la frittata in padella per completare la cottura dall’altro lato.
I cavuliceddi si gustano anche saltati in padella con olio d'oliva, aglio e peperoncino accompagnati da salsiccia cucinata al forno o in padella, tagliata a pezzi e saltate per 5-10 minuti insieme alla verdura. Oppure tagliati a pezzi, sbollentati e, nella stessa acqua salata, aggiungendo la pasta corta: a cottura ultimata impiattate e condite con olio extravergine d'oliva.

mercoledì 16 novembre 2016

Carne al sugo



Una ricetta “personalizzata” che ha come ingredienti di base un misto di carni che può variare secondo i gusti personali (vitello, manzo, coppa o lonza di maiale, puntine di maiale, cotiche, salsiccia)

Ingredienti per 4 persone
1 kg di carni miste a pezzi grossi
1 litro di passata fresca di pomodoro
Una cipolla media
Uno spicchio d'aglio
Olio Evo
Sale
Peperoncino
3-4 chiodi di garofano
Un cucchiaio di miele

Procedimento

Preparate il soffritto con una cipolla media bianca tagliate sottile ed uno spicchio di aglio intero. Aggiungete le carni e fatele rosolare a fuoco basso. Quando si saranno colorite sfumate con mezzo bicchiere di vino rosso quindi incorporate la passata di pomodoro. Aggiungete sale, peperoncino, chiodi di garofano, un cucchiaio di miele. Fate cuocere a fuoco lento per circa due ore mescolando per non fare attaccare la carne al fondo, aggiungendo eventualmente poca acqua calda se il sugo è troppo denso. A piacere potete far rosolare 6-700 grammi patate tagliate a tocchetti e aggiungerle al sugo mezz'ora prima di spegnere. A fine cottura è importante fare riposare il sugo per almeno due ore nella pentola con il coperchio. Col sugo potete condire la pasta aggiungendo nel piatto pecorino grattugiato o, meglio, maneggiandola con ricotta fresca.

martedì 15 novembre 2016

Brasato al moscato passito



Questa non è una ricetta tradizionale e non è facile. Ma è il mio "cavallo di battaglia" e mi piace condividerla con voi.

Ingredienti
1 filetto di vitello di circa 1 kg
Mezzo bicchiere di moscato passito di Pantelleria
Due arance
Un litro di brodo di carne
Tre strisce di lardo di maiale
Tre rametti di rosmarino
Sale
Olio d'oliva
Pepe nero in grani
Chiodi di garofano
Una stecca di cannella

Procedimento
Appoggiate le strisce di lardo e i rametti di rosmarino longitudinalmente sul filetto e legatelo bene. Fatelo rosolare in olio d'oliva rigirandolo spesso, salate, sfumate con il moscato passito di Pantelleria, aggiungete il succo delle due arance. Dopo qualche minuto aggiungete una decina di grani di pepe interi, 4-5 chiodi di garofano e una stecca di cannella, continuate la cottura a fuoco lento per circa 2 ore aggiungendo ogni tanto il brodo e rigirando, stando bene attenti a non bucare il filetto. Tirate fuori la carne, togliete spago, lardo e rosmarino e tagliate a grosse fette che poggerete su un letto di foglie di lattuga in un piatto da portata, guarnite con fette d'arancia. Filtrate il liquido di cottura, aggiungete poca maizena o farina, rimettete sul fuoco e fate addensare mescolando. Servite la carne ancora calda con la salsa bollente a parte.




lunedì 14 novembre 2016

Carne agglassata


Una ricetta della tradizione palermitana per preparare un secondo e un primo. Con la “glassa” ricavata dalla cottura della carne, infatti, si può anche condire la pasta.

Ingredienti per 4 persone
1 kg di carne di vitello per spezzatino tagliata a pezzetti
800 gr di patate
500 gr di piselli
1/2 kg di cipolle bianche o dorate
2 foglie d'alloro
di olio extravergine d'oliva
1\2 bicchiere di vino bianco

Procedimento

In una pentola mettete l'olio, le cipolle affettate e tutti gli aromi, soffriggere a fuoco bassissimo mescolando finché non sono ben cotte, aggiungere la carne e rosolarla. Aggiungere il vino bianco e sfumare, aggiustare di sale e pepe, poi lasciare cuocere a fuoco bassissimo e con il coperchio per almeno un'ora aggiungendo poca acqua calda. A parte sbucciare le patate e tagliarle a cubetti di medie dimensioni, friggerle in abbondante finché sono appena dorate, scolarle e aggiungerle alla carne insieme ai piselli (anche surgelati). C'è chi aggiunge anche carote tagliate a cubetti piccoli. Lasciate cuocere per circa 15 minuti a fuoco medio mescolando con delicatezza. Mettete da parte la carne e gran parte delle patate, con il sugo rimasto maneggiate spaghetti o bucatini spolverandoli con poco pecorino e pepe nero macinato al momento.

Sarde a cotoletta



Un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 18 ottobre 2004

Pesce povero per eccellenza ma, proprio per questo motivo, ingrediente base per decine di ricette della tradizione popolare. Fresca, salata o marinata, la sarda è protagonista della cucina siciliana. Da non confondere con due “cugine”: l'alice (che diventa acciuga o “anciova” se salata), più piccola, con il corpo allungato e affusolato, più pregiata e delicata ma anche più cara; l'alaccia, corpo e bocca più grandi, macchie sui fianchi, dal sapore più “selvatico” e spesso spacciata per sarda ai consumatori meno esperti.
Per la sarda, tra l'altro, con l'autunno inizia il periodo d'oro. Fino a febbraio questo pesce azzurro tanto disdegnato dai “gourmet” quanto apprezzato dai palermitani Doc è meno “grasso” perché ha già deposto le uova. Due essenzialmente i tipi di pesca che si praticano per catturarla: con le lampare e le reti di circuizione (specialità che si pratica tutto l'anno) e con la “tratta”, una rete particolare che si cala appena sotto la superficie del mare. C'è da dire che la sarda è anche l'esca per eccellenza utilizzata per innescare gli ami dei “palamiti” o “conzi” ( i palangari), lenze di grosso spessore lunghe anche chilometri con centinaia di “braccioli” che vengono “armati” con altrettanti ami.
E la prima ricetta per gustare le sarde arriva proprio dalle barche dei pescatori, dove l'esca avanzata non viene sprecata ma diliscata e aperta a libro (“allinguata”), sciacquata in acqua di mare, disposta su un piatto e coperta con succo di limone. Se lo fate a casa, con molta meno poesia ma con altrettanta soddisfazione, potete aggiungere qualche goccia di aceto bianco. Dopo appena un'ora i pescatori gustano delle ottime sarde marinate!
Sorvoliamo sulle ricette classiche che meritano un capitolo a parte (in primis le sarde a beccafico e la pasta con le sarde nelle sue numerose varianti sicule), ecco alcune pietanze gustose e facili da realizzare ma soprattutto estremamente economiche.
Diamo per scontate che bisogna “allinguare” le sarde privandole di testa e lische. Operazione apparentemente semplice ma che rischia di farvi ottenere una “marmellata” buona solo per le polpette: se, volontariamente o no, avete ottenuto questa poltiglia allora aggiungete pangrattato, pecorino grattugiato, pepe nero in polvere, poco sale, prezzemolo e aglio tritati finemente (variante con uva passa ammollata e pinoli), impastate con uovo sbattuto, fate delle polpette rotonde e friggete in abbondante olio bollente. Ottime se mangiate calde, le polpette di sarde appena rosolate si possono anche “tuffare” nella salsa di pomodoro facendole cuocere a fuoco lento per una decina di minuti. In questo caso vi consiglio di condirci un bel piatto di spaghetti, magari guarnendoli con foglioline di menta fresca.
Semplici e sbrigative le sarde “allinguate” passate dalla farina e fritte. Variante in agrodolce: dopo averle fritte stendetele su un piatto da portata, fate soffriggere abbondante cipolla affettata finemente, aggiungete mezzo bicchiere di aceto bianco in cui avete fatto sciogliere due cucchiai di zucchero, fate addensare a fuoco vivace, versate questa “consa” sulle sarde e lasciate raffreddare.
Altra ricetta sfiziosa della tradizione siciliana è quella delle sarde in pastella: preparatene una abbastanza liquida facendo sciogliere a freddo farina di rimacinato e poco lievito di birra in acqua con un generoso pizzico di sale, fate lievitare per almeno un'ora in una zuppiera coperta, poi immergete una per una le sarde nella pastella e friggete in abbondante olio bollente. Vanno mangiate rigorosamente calde.

Chiudiamo con due ricette “paesane”. La prima, le sarde a cotoletta. Preparate un impasto con uovo sbattuto, pangrattato, pecorino grattugiato, prezzemolo e aglio tritati finemente, appoggiatene un cucchiaio abbondante su una sarda “allinguata”, disponetene un'altra sopra (a mo' di sandwich), infarinate da entrambi i lati, friggete, poi (se volete) finite di cuocere nella salsa di pomodoro. Con una variante “vastasa”, adatta soprattutto per le alacce che hanno un sapore più forte: fate macerare il pesce per circa un'ora in abbondante aceto con menta fresca e un pizzico di pepe nero, sgocciolate, passate nella farina, nell'uovo sbattuto, nel pangrattato, friggete e...mangiatele subito.


sabato 12 novembre 2016

Bucatini triglie e finocchietto


Una ricetta gustosa, che ricorda la più famosa pasta con le sarde, basata su due ingredienti dal gusto deciso: le triglie e il finocchietto selvatico
Ingredienti per quattro persone
500 grammi di spaghetti
500 grammi di triglie (possibilmente di scoglio)
200 grammi di finocchietto selvatico
1 spicchio d’aglio
200 grammi di pomodorino
Olio extravergine d’olive
½ bicchiere di vino bianco
Sale e pepe q.b.
Procedimento
Lavare bene il finocchietto, prenderne un ciuffetto crudo, tritarlo finemente (servirà per condire la pasta già cotta). In una pentola con acqua salata bollire il finocchietto, scolarlo tagliarlo a pezzetti e metterlo da parte. Conservare anche l’acqua di bollitura perché servirà per cuocervi la pasta.Pulire le triglie privandole delle squame delle lische e delle eventuali spine. Pelare i pomodori e tagliarli a filetti. A questo punto mettere in una padella (grande abbastanza per poi potervi amalgamare la pasta) due cucchiai d’olio, l’aglio intero, il finocchietto messo da parte in precedenza e il pomodoro a filetti. Appena il pomodoro sarà appassito, togliere l’aglio, unire le triglie e far rosolare a fuoco lento. Quando le triglie avranno raggiunto la cottura versarvi il vino e far sfumare.Cuocere la pasta (bucatino, spaghettoni o spaghettti) al dente quindi farla mantecare per qualche minuto assieme al condimento.  Prima di servire spolverare con il finocchietto selvatico tritato crudo e un filo d’olio.

venerdì 11 novembre 2016

Baccalà con le passole



Un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il il 29 novembre 2004 

Con l'arrivo della stagione fredda e, soprattutto, con le feste di fine anno all'orizzonte, sui banchi delle pescherie e dei mercati torna, abbondante e "profumato", il baccalà. Un prodotto dell'estremo nord che si è integrato perfettamente nella cucina tradizionale siciliana. Il merluzzo atlantico pulito, sfilettato e conservato sotto sale direttamente a bordo dei grandi pescherecci oceanici, è entrato a pieno titolo nei menù di alcune feste. Come la vigilia della Madonna, prima tappa del tour de force mangereccio che si concluderà l'1 gennaio (con le tappe intermedie di Santa Lucia, vigilia di Natale, pranzo del 25 e Cenone, senza contare gli irrinunciabili "due fili di spaghetti" durante le giocate natalizie) mettendo alla prova gli stomaci panormiti più allenati. La sera del 7 dicembre, infatti, su ogni tavola che si rispetti non possono mancare il baccalà fritto e, soprattutto, il più ricco e gustoso "baccalà con le passole". Bisogna intanto fare un paio di distinzioni. La prima è tra il pesce salato "normale" ed il filetto, ossia i pezzi più pregiati che vengono "rifilati" eliminando le parti superflue e lasciando solo la polpa con pochissima pelle. La seconda è tra il pesce ancora sotto sale e quello ammollato, pronto per la cottura. Le quotazioni, ovviamente, variano. Passando alle ricette, la prima e più semplice consiste nella bollitura del pesce ammollato. Scolatelo, eliminate pelle ed eventuali lische, spezzettatelo e conditelo con olio d'oliva, limone, prezzemolo tritato, pepe nero. C'è poi l'immancabile frittura: tagliate a tocchetti, passate nella farina e friggete in olio abbondante. Variante in agroldolce: dopo la frittura, disponete su un piatto da portata, preparate la salsa agrodolce sciogliendo a fiamma bassa tre cucchiai di zucchero in mezzo bicchiere di aceto, versatela sopra e lasciate raffreddare. Sconsigliata la "cipollata", visto che il baccalà è già pesantuccio! 
Ma le due ricette più palermitane sono "a sfincione" e "chi passuli" (uva passa del tipo zibibbo, bionda e più grossa della solita uvetta). La prima: puliteil baccalà, spezzettatelo, disponetelo in una teglia alternandolo con strati di patate a tocchetti e "consa" dello sfincione (abbondante cipolla soffritta lentamente, acciuga sciolta, estratto di pomodoro allungato con pochissima acqua, pepe nero), spolverate con abbondante origano e (a scelta) pangrattato, infornate e...buon appetito. La seconda, un "cult" della cucina panormita: soffriggete l'immancabile cipolla, aggiungete poco pomodoro pelato o polpa già pronta (variante con una noce di estratto di pomidoro), il baccalà a pezzi, l'uva passa, poco sale, un generoso pizzico di pepe nero, fate cuocere per circa quindici minuti. C'è poi la "ghiotta", con cipolla, pomodoro e olive nere e, infine una ricetta più "raffinata". Soffriggete la cipolla affettata finemente, abbondante prezzemolo e sedano tritati, i pezzi di baccalà infarinati, sfumate con poco vino bianco, aggiungete patate a tocchetti, capperi ben lavati, olive verdi snocciolate, sale, pepe nero, acqua fino a coprire tutto (variante con un paio di pomodori spellati e spezzettati) e fate cuocere per 15-20 minuti a fuoco basso. Un "cugino" del baccalà, pressoché introvabile dalle nostre parti ma molto comune nelle vicine cucine messinesi e calabresi, è lo stoccafisso o stocco o pesce stocco. Uguale la materia prima, ossia il merluzzo atlantico, che però viene essiccato intero all'aria, privato solo di testa e viscere. Uguale il procedimento di "ammollo" nell'acqua, salvo per il trattamento preventivo: lo stocco, duro come un pezzo di legno, prima di essere immerso nell'acqua va battuto. Famoso lo stoccafisso alla vicentina, tagliato a pezzi, infarinato, fritto con cipolla, sale, pepe, acciughe, prezzemolo, aglio e cotto lentamente nel latte per circa tre ore. Uno sperduto paesino della provincia di Reggio Calabria, Mammola, vanta il primato del pesce stocco più buono d'Italia, nonostante sia arroccato tra le montagne. Motivo? L'acqua che usano per ammollare il pesce. E' questa, infatti, un'operazione apparentemente banale ma che può valorizzare o rendere immangiabile sia lo stocco che il baccalà. Entrambi vanno tenuti a bagno per due-tre giorni. L'acqua va cambiata almeno due-tre volte al giorno. Ma se dal vostro rubinetto esce liquido al cloro, con una eccessiva presenza di calcare o altre sostanze "nocive", avete due possibilità: compratelo già ammollato o, se siete perfezionisti, usate l'acqua minerale.



Pasta al nero di seppia



Un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 15 novembre 2004

Pasta col nero di seppia, piatto "unico" in tutti i sensi. Unico perché colore, profumo e sapore non hanno eguali nella cucina siciliana. Unico perché, se ben cucinato, di fatto costituisce un primo e un secondo messi insieme. Per prima cosa bisogna procurarsi una bella seppia, merce che non si trova spesso in pescheria. La "stagione" migliore, per˜, comincia proprio ora per finire a marzo-aprile. Per quattro persone basta una seppia di mezzo chilo, meglio se due da trecento grammi che sono più tenere. Fatela pulire dal pescivendolo: eviterete di perdere la parte più preziosa: la sacca con il "nero". Tenetela da parte e tagliate a pezzetti testa e tentacoli della seppia. Fate soffriggere in olio d'oliva la solita cipolla affettata finemente, aggiungete una noce di estratto di pomodoro e allungate con poca acqua (variante, che personalmente preferisco perché esalta il sapore del pesce, qualche pomodoro spellato e tagliato a pezzetti o un po' di polpa pronta), sale, poco pepe nero, prezzemolo tritato. Fate cuocere per cinque minuti, quindi versate nella salsa la seppia a pezzetti e, dopo cinque minuti, la "sacca" con il nero che si aprirà da sola. In genere il pescivendolo lascia attaccata alla testa anche un'altra sacca con il "caramello", una sostanza color giallo ocra che aggiunge sapore al condimento. Usatela pure senza timori.
Abbassate la fiamma, coprite e fate cuocere per circa dieci minuti. A parte cuocete al dente i bucatini, scolateli bene e maneggiateli con il sugo del nero, seppia compresa, aggiungendo sopra prezzemolo fresco tritato. C'è chi si avventura con gli spaghetti che, essendo troppo sottili, si "impastano" con la salsa densa e vellutata. Provate invece, come "chicca", gli gnocchi di patate, magari grattugiandoci sopra la ricotta salata.


giovedì 10 novembre 2016

Pesce capone apparecchiato



Un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 4 ottobre 2004

L'autunno è agli sgoccioli ma sui banchi delle pescherie, specie quelle dei mercati popolari, fa ancora bella mostra un pesce “nostrano” che non tutti sanno apprezzare. Eppure il capone (in italiano “lampuga” mentre il capone corrisponde alla nostra “fagiana”) se saputo cucinare è un ottimo secondo, considerato che lo trovate sempre appena pescato ed a prezzi da saldi. Verificarne la freschezza, tra l'altro, è facilissimo. A parte i soliti “segni” (occhio vitreo e convesso, branchie molto scure e che non emanano cattivo odore se aperte), il capone fresco ha il dorso grigio-azzurro e il ventre con riflessi giallo-oro. Più sono brillanti i riflessi azzurri, più il pesce è fresco. In questo periodo la taglia delle catture, che cominciano a fine estate, è aumentata sensibilmente superando abbondantemente il chilogrammo. I metodi di pesca sono la lenza da traina di superficie o, più generalmente, il “cianciolo”: una rete da circuizione che i pescatori calano in superficie spesso (soprattutto d'estate) nei pressi dei “cannizzi”, grandi zattere di canne intrecciate all'ombra delle quali si rifugiano i branchi di pesci.
Per gustarlo al meglio il capone va pulito e tagliato a fette spesse circa due dita, la testa longitudinalmente in due parti. Quando sono di taglia più piccola i caponi (ma anche i pesci pilota, meglio conosciuti a Palermo come 'nfanfali, riconoscibili perché grigi a fasce verticali alternate chiare e più scure) possono essere gustati anche passati nell'olio e nella farina di grano duro e fritti. Oppure alla brace, conditi col salmoriglio (olio d'oliva, sale, origano, poco pepe nero). Ottimi anche sfilettati, passati nell'olio, poi nel pangrattato e fritti, con la variante in agrodolce (dopo la frittura sfumare con una salsina preparata facendo sciogliere tre cucchiai di zucchero in mezzo bicchiere di aceto bianco, proporzione variabile a seconda dei gusti, e aggiungendo un po di menta). In questo periodo, invece, il modo migliore di gustare il capone di grossa taglia è “apparecchiato”. Un'antica ricetta palermitana che ne esalta il sapore evitando che diventi troppo “stopposo”. Per preparare il “capone apparecchiato” tagliatelo come spiegato precedentemente, passate i singoli pezzi nella farina di grano duro, friggeteli in olio d'oliva, salateli con discrezione e sgocciolateli. Sistemate il pesce fritto su un piatto da portata dai bordi alti e preparate la “consa”: fate appassire in olio d'oliva abbondante cipolla tagliata finemente, aggiungete capperi sotto sale che avrete messo prima in acqua e sgocciolato, olive nere e bianche, pomodoro fresco a pezzi (va bene anche la polpa pronta) peperoncino (gradito anche un generoso pizzico di origano). A questo punto fate cuocere a fuoco lento per circa dieci minuti, aggiungete una salsa agrodolce all'aceto, fate addensare ancora per qualche minuto e versate il condimento ancora caldo sul pesce fritto. Lasciate riposare per almeno un'ora e servite freddo o appena scaldato al forno. La ricetta ha una variante “in bianco”, senza pomodoro e con pepe nero al posto del peperoncino. Inoltre, al posto del capone potete provarla con altri pesci dalle carni che possono risultare leggermente stoppose: tranci di alalunga o di tonno (ma non è questo il periodo giusto) e perfino filetti di baccalà interi o tagliati a grossi pezzi.  


Pesce spada panato



Un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 24 gennaio 2005

Il pesce spada è, a buon diritto, il re della cucina palermitana. In una tavola che si rispetti non può mancare arrostito, a involtini o nella la pasta con le melanzane fritte. Si pesca, in genere, da aprile a ottobre con i «palamiti» (o «palangari») e da aprile a luglio con le reti (le famose «spadare», lunghe fino a due chilometri). Qualche barca di «temerari» esce anche in inverno, approfittando degli «sprazzi» di buon tempo. In questo caso le catture si contano sulle dite di una mano e vengono di fatto «monopolizzate» già al porto da pochi privilegiati. Le quotazioni del pesce fresco oscillano tra i 18 e i 25 euro al chilo, con picchi di 30. Qualcuno starà già cominciando a chiedersi come mai, allora, le spade fanno sempre bella mostra sui banchi delle pescherie anche in altri periodi dell’anno e/o ad appena 10 euro. Merito della globalizzazione e delle potenti celle frigorifere presenti sui pescherecci e nei depositi di altri paesi, soprattutto del Mediterraneo. Spagna, Grecia e Turchia, in prima fila, ce li spediscono congelati e pronti alla vendita. L’occhio attento li riconoscerà dal colore della carne, poco sanguigna, di un rosa pallido e tendente al grigio. Ben diverso dal rosa intenso e sanguinolento del pesce spada «nostrano» fresco. Altro segno di freschezza «artificiale»: se, quando aprite il sacchetto con le fette, trovate molto liquido, quello è il sintomo del completamento della fase di scongelamento che il pescivendolo ha iniziato la sera prima!
Quando il pesce spada è fresco e di buona qualità, il miglior modo per apprezzarne il gusto è passato alla piastra (i più fortunati alla griglia) a temperatura non troppo elevata, girato una sola volta. Il sale va aggiunto alla fine, magari con l’aggiunta di olio d’oliva, poco limone, un pizzico di origano o prezzemolo fresco tritato finemente. Potete gustarlo anche fritto in padella, senza alcuna panatura. In alternativa (ottimo metodo anche per «nobilitare» il pesce congelato!) potete passarlo da olio e pangrattato prima di passare alla piastra o passare in forno caldo per circa venti minuti. Sempre al forno, si può provare una ricetta «antica» e collaudata con altri pesci: a sfincione. Passate le fette dal pangrattato, adagiatele in una teglia ben oliata, versateci sopra una «consa» fatta con abbondante cipolla soffritta lentamente con aggiunta di polpa di pomodoro, sale e pepe nero, spolverate con mollica tostata e origano, infornato per circa venti minuti.
Ma non c’è nulla di più accattivante e gustoso degli involtini. Fatevi tagliare le fettine sottili da pescivendolo (evitate di «smaniarle» voi!), in ognuna appoggiate un condimento fatto con mollica tostata (o «attuata» che dir si voglia!), caciocavallo grattugiato, uvetta passa, pinoli, pepe nero, zafferano (optional da non sottovalutare). Avvolgeteli uno per uno, passateli nel pangrattato, impostateli in una teglia ben oliata alternandoli con fette di cipolla e foglie di alloro e mettendoci sopra fettine di limone.
Dulcis in fundo, è il caso di dire, la pasta: penne, spaghetti o bucatini che siano. Soffriggete l’aglio, aggiungete la polpa di pomodoro, fate cuocere a fuoco lento e, dopo dieci minuti, aggiungete il pesce spada tagliato a dadini. Aggiustate di sale e pepe, aggiungete abbondante menta fresca tritata, continuate la cottura per altri dieci-quindici minuti. Condite la pasta aggiungendo, se volete un sapore più «forte», melanzane fritte a tocchetti e altra menta fresca.

Quando il pesce spada è veramente fresco (altrimenti non provateci neppure!) si può gustare anche semplicemente marinato. In questo caso le fettine devo essere tagliate molto sottili, private della pelle e altre eventuali impurità, impostate in un piatto largo. A questo punto copritele con succo di limone fresco (mai usare quello già pronto!) e poco aceto bianco, quindi lasciate riposare in frigorifero per almeno due ore. Sgocciolate bene e condite con un filo d’olio d’oliva e, a piacere, prezzemolo fresco tritato.

Una valida alternativa ai «soliti» involtini sono i «fagottini». Fatevi tagliare le fette dalla parte della coda un po’ più grosse. Dividete ogni «ruota» a metà, togliete delicatamente l’osso, quindi praticate un taglio abbastanza profondo in modo da creare una «tasca» che riempirete con lo stesso condimento degli involtini. Sigillate l’apertura con uno o più stecchini, adagiate in una padella dai bordi alti, aggiungete cipolla tagliata finemente, pomodoro pelato, prezzemolo, poco sale e cuocete a fuoco lento per circa mezz’ora.


mercoledì 9 novembre 2016

Polpo in umido


Un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il 27 settembre del 2004


Il re dei polpi, si sa, è il maiolino. Quello, cioè, con due file di ventose sulle “granfe”, pardon tentacoli. Da non confondere con il più plebeo moscardino (o purpu di suolo) che ne ha una sola fila. E se quest’ultimo va bene per la cottura con pomodoro, aglio e prezzemolo (purpu muratu), la morte più onorevole del maiolino è un tuffo nell’acqua bollente leggermente salata e, per chi vuole osare, con un pizzico di pepe nero. Un quarto d’ora a bollire a fuoco vivo, altrettanto a “risiedere” nella pentola con il coperchio (il tocco segreto per ottenere un polpo bollito veramente tenero), e voilà, è fatta. A questo punto servono solo un bel piatto da portata in terracotta, un limone, forchetta e coltello che, bada bene, servono solo per tagliarlo a grandi pezzi. Sì, perché il polpo bollito va mangiato rigorosamente caldo e con le mani. Anzi, con indice, medio e pollice. Vox populi vuole che questa pietanza sia “digestiva”. Ricordo di aver partecipato da bambino ad un pranzo di famiglia a base di pesce durato circa tre ore, aperto da spillonghi (vassoi) di frutti di mare e suggellato da un mostruoso polpo di almeno due chili servito intero e ancora fumante.
Detto questo, voglio illustrarvi una ricetta poco conosciuta ma degna di nota. Un ricetta antica di pescatori che, in tempi di pitittu (fame), costitutiva quello che oggi si dice un “piatto unico”. Basta poco: polipo, cipolla, patate. Fate ‘ngranciare (trad. soffriggere) molto lentamente una cipolla tagliata sottilissima e uno spicchio d’aglio. Sfumate con mezzo bicchiere di vino bianco, aggiungete il polipo pulito e tagliato a tocchi, sale e pepe nero a piacere. Fate cuocere per circa dieci minuti a fuoco lento con il coperchio, aggiungendo poca acqua. A questo punto siete davanti ad un dilemma amletico: aggiungere una paio di bustine di zafferano oppure mezzo cucchiaio di estratto di pomodoro. Personalmente vi consiglio il primo, con abbondante prezzemolo fresco tritato (variante anche con l’origano). A questo punto potete aggiungere la patate (nella stessa quantità del polipo) tagliate a grossi tocchi. Fate cuocere altri dieci-quindici minuti col coperchio, aggiungendo poca d’acqua. Anche in questo caso è consigliabile fare “risiedere” per una decina di minuti prima di servire.  



Pesce in brodo


Un articolo  pubblicato sul Giornale di Sicilia il 20 dicembre del 2004

Zuppa e brodo di pesce, piatti antichi della tradizione popolare che uniscono la convenienza alla versatilità. La regola numero uno, infatti, è quella di metterci dentro...quello che si trova. La seconda, un tempo molto più praticata, è di non sprecare nulla. Nella zuppa si “assuppava” il pane, meglio se quello raffermo rimasto in dispensa (altro che consommé coi crostini!) e col brodo si condiva la pasta. Il consumismo ha spazzato questi piatti dal menù palermitano. Colpa anche dell’abbondanza di specie più pregiate (o presunte tali!) che affollano i banchi delle pescherie. A parte lo scorfano, molto apprezzato e quindi dalle quotazioni medio-alte, tutte le altre specie sono quasi disprezzate. Il che si traduce in un affare per i veri intenditori che si possono divertire con gustosi piatti di pesce fresco a prezzi da saldi di fine stagione. Volete mettere un brodetto di lusso con soli 3-4 euro (tanto costa mezzo chilo di “misto”)?
La categoria dei pesci cosiddetti “da brodo” è vastissima. Non così le ricette. La più raffinata è la zuppa di pesce, che si prepara utilizzando come base alcuni pesci di taglia più “robusta” da cucinare a tranci. Parliamo del grongo o della murena, pesci serpentiforni che non fanno una bella impressione ai neofiti ma che hanno un gusto sopraffino. Ma anche dello scorfano e della rana pescatrice. Indispensabile, per una buona riuscita, un calamaro o un totano, un paio di piccoli polpi moscardini (quelli con una fila di ventose sui tentacoli, per intenderci), qualche cozza, se volete esagerare, anche qualche gambero. Per una zuppa ideale bisogna fare soffriggere qualche spicchio di aglio in abbondante olio d’oliva e aggiungere il pesce a tocchi. Se piccolo mettetelo intero, eliminando solo testa, branchie e interiora ma avendo cura di raschiare le squame con un coltello. Unite pomodoro fresco spellato, poca acqua, abbondante prezzemolo fresco tritato, poco sale, pepe nero a piacere. Fate cuocere a fuoco lento per almeno quindici minuti e servite caldo, magari accompagnato da fette di pane raffermo leggermente gratinato. In alternativa potete utilizzare la stessa zuppa per condire il cous-cous!
Tornando al brodo, il procedimento non è diverso da quello per la zuppa. Semplicemente si preferisce la cipolla all’aglio per il soffritto (ma non è un obbligo) e l’acqua deve coprire abbondantemente il pesce che va cotto molto più a lungo facendo “stringere” il brodo. Quanto alla scelta dei pesci, questa è praticamente illimitata: approfittate delle cassette di pesce misto che si trova spesso seminascosto nelle pescherie e, se siete più esperti, non rinunciate a far finire nel sacchetto della spesa uno scorfano, un “occhibello” (o scorfano di fondale) una “serrania” (o sciarrano), una perchia, una lappana, un tordo, una tracina e l’immancabile “fagiana” (o pesce capone) e la sua cugina più povera, la “gallinella”. Cito, per dovere di cronaca, il rombo, la picara (buona anche fritta!) e il “pesce san Pietro” per brodo e zuppa. Nel Trapanese aggiungono una stecca di cannella: da provare! Alla fine scolate il tutto, volendo passate anche il pesce al setaccio e fate stringere ancora un poco a fuoco lento.

Una ricetta alternativa “in giallo” per grongo e murena? Soffriggete aglio, cipolla e un paio di filetti di acciuga, sfumate con il vino bianco, aggiungete il pesce tagliato a tocchi lasciando la pelle, rosolate, regolate di sale e pepe nero, coprite con acqua nella quale scioglierete due bustine di zafferano, lasciate cuocere per circa quindici minuti. Variante anche con le patate. Se la murena è molto grossa potete farla tagliare a fettine e cucinare così: passate dalla farina, soffriggete e posate le fette su un piatto da portata. Nello stesso olio soffriggete abbondante cipolla bianca, sfumate con aceto bianco e zucchero sciolti precedentemente, versate tutto sul pesce e lasciate insaporire per un paio d’ore.

Pasta col brodo o brodo con la pasta: un dilemma che ognuno risolve fidandosi del suo gusto. Il pesce ben cotto va scolato ed eventualmente passato al setaccio (qualche temerario utilizza il passaverdure con i buchi larghi).
Poi si aprono due strade: allungare con acqua quanto basta, portare di nuovo a ebollizione, aggiustare di sale e buttarci la pasta oppure fare stringere a fuoco lento, cuocere la pasta a parte, scolarla e spadellare con questa “crema”. In questo ultimo caso io aggiungo al brodetto un pizzico di pepe e un cucchiaio di miele che lo rende più “vellutato”. Uno sfizio!